Quando
ho sentito bussare alla porta, sono rimasta stupita. Erano mesi o forse anni
che nessuno lo faceva, tanto meno mi sarei immaginata di trovare, una volta
aperto, due occhietti neri, curiosi e pungenti.
Quando
mi hai salutato con quel “Buongiorno” squillante, ho pure pensato che fossi la
solita scocciatrice in cerca dell’ennesima anzianotta da raggirare, ma ancora
ci sto bene con la testa e ho sempre il bastone con me, non si sa mai.
In
realtà mi hai chiesto solo informazioni su un vecchio mulino della zona, un
mulino di quelli ad acqua, come si vedono nelle illustrazioni delle migliori
storie per bambini. In un attimo la mia testa è tornata a quella ruota, al suo
rumore, allo scorrere del fiume, all’attrito delle macine di pietra ed alla
faccia di mio marito mugnaio, sporca di bianco.
Quindi,
facendo il punto, tu sei una giovane universitaria intenta a fare una ricerca
sui “mestieri perduti” e io sono una sorta di piccola enciclopedia fatta di
ricordi; forse, nonostante la mia età, potremmo pure arrivare a delle
conclusioni interessanti, visto che ancora non sono proprio decrepita e la mia testa,
come dicevo prima, regge ancora.
Mi
sarebbe piaciuto che tu parlassi con mio marito, lui era quello che poteva svelarti
i segreti di un mestiere ormai scomparso, ma purtroppo non c’è più. In realtà
forse non c’era più da tempo, da tanto, troppo tempo; potrei sostenere di
essere rimasta vedova giovanissima e non direi poi nulla di così osceno.
Lo
so che non mi capisci, lo vedo dai tuoi occhietti che diventano sempre più
piccoli e pungenti, ma il punto è che ogni luogo ha una storia che si intreccia
con quella di chi lo abita. La nostra storia è stata meravigliosa e tremenda
allo stesso tempo. Non so se hai la pazienza di ascoltarmi, non vorrei fare la
parte della vecchia brontolona nostalgica, sai di quelle che ripetono sempre le
stesse cose, ma in realtà forse questa è la prima volta che mi sento di
raccontare come è andata veramente.
Il
mulino che tu cerchi, era proprio qui, in questa casa. Le macine ed il
meccanismo erano al piano di sotto, e qua fuori c’era il canale con cui veniva
deviata l’acqua del fiume, per far funzionare la ruota. Era immensa, tutta di
legno e ha fatto il suo dovere per molti anni, sempre accudita da mio marito.
Era
il primo dopoguerra, ed io ero diventata la moglie del mugnaio ribelle, mio
marito infatti era considerato un po’ strambo, perché nonostante le origini
nobili, aveva deciso di lasciare tutto ed essere diseredato dalla famiglia, piuttosto
che doversi assoggettare a quelle che per lui, erano delle regole assurde. Il
padre lo considerava un reietto, la madre non ne parliamo, solo la sorella di
tanto in tanto, di nascosto, lo veniva a trovare. Poco male, nessuno di loro
era poi così simpatico, te lo posso garantire. Anche io comunque, avevo avuto
qualche difficoltà a potermi sposare con lui. I miei genitori erano contrari e
i mie tre fratelli fecero il diavolo a quattro per potermi evitare un dolore,
dicevano loro. Forse, col senno di poi, mi sento di dire che avevano ragione,
ma è anche vero che forse non si può andare contro al proprio destino, mi ero
incapricciata col mugnaio e sua moglie diventai.
Tornando
al nostro mulino, posso dirti che qui la zona era molto diversa da come la vedi
ora. Non c’era la strada asfaltata no, si poteva arrivare attraversando un
ponticello in cui passava a pelo un carro tirato da due buoi. Poi ovviamente
c’era chi arrivava coi sacchi caricati sull’asino o addirittura tirando in due
o tre un carrettino. Le famiglie all’epoca non avevano molte risorse, le uniche
cose che c’erano in abbondanza erano la miseria e le bocche da sfamare. Avevamo
costruito un piccolo pergolato, per far ristorare la gente che arrivava e che
sarebbe ripartita solo una volta finita la macinatura. Mio marito era abile e
veloce anche se a volte i suoi modi lasciavano a desiderare. Passava dalla
scontrosità del mattino, all’affabilità e voglia di scherzare del pomeriggio e
la gente che arrivava a volte se la prendeva un po’. Fortunatamente il mulino
più vicino al nostro era parecchio lontano e nolenti o piacenti, i clienti non
ci mancavano.
Ti
chiederai se eravamo soli, considerando come erano numerose le famiglie
all’epoca. Siamo stati soli e poi è arrivato un figlio, un maschio che ha fatto
diventare mio marito luminoso e amorevole, penso che avrebbe dato la sua vita
pur di farlo star bene. Erano sempre attaccati, se lo portava dappertutto e dal
ponticello sopra il fiume, andavano a fare i tuffi nella gorga sottostante. Io
avevo una paura, che se ci penso ancora oggi mi vengono i brividi, ma quei due
erano come i cervi che ancora oggi pascolano qui dietro, erano liberi. Abbiamo
sempre vissuto in questa sorta di paradiso, coi piedi piantati su una terra
meravigliosa, piena di natura e così vicina alla felicità, attraversata da
questo fiume, che non è poi così diverso oggi da allora. Sai ho sentito alla
televisione che l’acqua è considerata divina, dà la vita dicevano, io non so se
sia vero, ma sicuramente so che scorre e che non è mai uguale a se stessa.
Scorre e non si può fermare, proprio come il tempo che è passato ed oggi mi
vede qui con te, a raccontare qualcosa che non c’è più.
Dicevamo
del mulino, scusami ma ogni tanto mi viene da prendere una via traversa nel
discorso. Ecco le macine erano di pietra ed erano scalpellate a mano. Ad ogni
fine stagione mio marito le ripassava in modo che l’anno dopo potessero
lavorare al meglio. Poi c’era il buratto che serviva a raffinare la farina e
tanti altri arnesi che io non ti saprei nemmeno nominare. All’inizio io stavo
al mulino, ma dopo la nascita del figliolo mi sono dedicata a lui. Quanto gli
volevamo bene!
Parlo al passato sì, perché io adesso sono sola. Mio figlio aveva qualcosa di strano, ha iniziato verso i dieci anni ad avere dei problemi. La prima volta che capitò eravamo io e lui e non sapevo cosa fare. Iniziò a tremare, strabuzzando gli occhi cadde per terra e sembrava soffocare. Ho urlato, ho pianto, ero disperata. Mio marito arrivò di corsa, tutto bianco di farina e cercò di tenerlo fermo per non farlo sbattere o ferire, poi tutto passò.
Parlo al passato sì, perché io adesso sono sola. Mio figlio aveva qualcosa di strano, ha iniziato verso i dieci anni ad avere dei problemi. La prima volta che capitò eravamo io e lui e non sapevo cosa fare. Iniziò a tremare, strabuzzando gli occhi cadde per terra e sembrava soffocare. Ho urlato, ho pianto, ero disperata. Mio marito arrivò di corsa, tutto bianco di farina e cercò di tenerlo fermo per non farlo sbattere o ferire, poi tutto passò.
Mettendo
da parte l’orgoglio, il mio povero marito rispolverò tutte le sue vecchie
conoscenze ed amicizie, per poter venire a capo di qualcosa, per capire
l’origine del male del ragazzo. Un giorno un medico ci spiegò e io che non
avevo capito niente, riuscii solo a comprendere che si trattava di qualcosa di
male. Mio marito si prese la testa fra le mani alle parole del medico, poi
usciti dalla stanza, ci prese tutti e due per mano e ci riportò a casa. Nei
giorni seguenti non faceva altro che raccomandarsi col ragazzino di non
allontanarsi e di rimanere sempre nei paraggi dove lo potevamo vedere. Quel
poveretto crebbe i successivi quattro anni immerso nei nostri angosciosi
pensieri, senza sapere cosa gli stava succedendo. Era epilettico, soffriva di
una forma grave, che nessun farmaco era stato in grado di tenere a freno.
Il
ragazzo andava a scuola regolarmente, accompagnato a piedi da altri compagni,
poi quando tornava, andava ad aiutare il padre al mulino. Era felice quando
erano insieme, gli occhi brillavano ad entrambi. D’estate il padre non lo
portava più a fare i tuffi dal ponticello, si era inventato che il livello
dell’acqua era diminuito e si sarebbero potuti fare male, ma in realtà aveva
solo paura. Anzi ti dirò che gli aveva proprio vietato di fare anche solo il
bagno con gli amici e lui iniziò a pensare che tutti quei no e quelle
imposizioni, fossero ingiusti castighi per qualcosa di male che non aveva
fatto. Soffriva e diventava sempre più insofferente.
Un
pomeriggio d’estate disse al padre che sarebbe andato da un vicino, in casa di
un suo compagno di scuola, per aiutarlo a caricare i sacchi di grano da portare
al mulino. Quando capimmo che era una scusa, era ormai troppo tardi. Era
annegato e mio marito lo ritrovò qualche centinaio di metri più a valle,
trattenuto da un ramo di acacia. Aveva solo quattordici anni.
In
un colpo solo io ho perso la vita, un figlio e mio marito, che reagì nel modo
più assurdo che poté. Iniziò ad essere veramente pazzo, mandava via i clienti
imbracciando il fucile, stava giornate intere oziando steso per terra senza
mangiare né bere, si buttava nel fiume anche nei mesi successivi, in pieno
inverno e urlava e piangeva, io lo sentivo che anche di notte piangeva, senza
darsi pace. Un giorno iniziò a prendere a martellate la ruota del mulino, ne
spaccò una parte e da quel momento finì di sgretolarsi anche quel poco che era
rimasto. Io non potevo fare altro che guardare ed aspettare, non potevo
aiutarlo in alcun modo, perché prima dovevo capire come aiutare me stessa.
Scusami
tesoro, forse ho esagerato, mi sono fatta prendere la mano dalla mia storia e
ho perso di vista il mulino. Forse però avrai altri dieci minuti per ascoltare
come è finita, perché non è ancora finita.
Il mulino era perso, il lavoro era finito, eravamo nell’indigenza più totale e un giorno mio marito, avvicinandosi mi abbracciò, e mi strinse forte per le spalle. Baciandomi sulla guancia mi chiese scusa per non esserci più stato, mi voleva ancora bene! Forse potevo sperare di ricominciare, potevamo dimenticare.
Il mulino era perso, il lavoro era finito, eravamo nell’indigenza più totale e un giorno mio marito, avvicinandosi mi abbracciò, e mi strinse forte per le spalle. Baciandomi sulla guancia mi chiese scusa per non esserci più stato, mi voleva ancora bene! Forse potevo sperare di ricominciare, potevamo dimenticare.
Un
mese dopo scoprii di essere in cinta. Sarebbe stata una gioia ma poteva essere
di nuovo l’inizio di un incubo. Non dissi niente a nessuno ed iniziai a fare i peggior
lavori, sforzandomi di faticare più che potevo. Avrai capito cosa ti voglio
dire, dove volevo arrivare e capirai anche, che ci sono riuscita.
Qualche settimana dopo, un pomeriggio di gennaio, a piedi nudi tra la neve, stavo lavando i panni al fiume, un dolore lancinante, tanto sangue che tinse l’acqua e poi non ricordo più niente. Mi sono risvegliata in casa, febbricitante, in sottofondo, dall’altra stanza, il brusio delle voci del medico e mio marito. Pensando di fare bene, avevo solo segnato irrimediabilmente le nostre vite.
Qualche settimana dopo, un pomeriggio di gennaio, a piedi nudi tra la neve, stavo lavando i panni al fiume, un dolore lancinante, tanto sangue che tinse l’acqua e poi non ricordo più niente. Mi sono risvegliata in casa, febbricitante, in sottofondo, dall’altra stanza, il brusio delle voci del medico e mio marito. Pensando di fare bene, avevo solo segnato irrimediabilmente le nostre vite.
Quindi
come vedi, il mulino di per sé, sarebbe stato qualcosa di inanimato e non
avrebbe una gran storia se non fosse stato per le azioni di questa povera
vecchia e di tutti gli altri, naturalmente.
Tutti siamo stati felici ed abbiamo sofferto in questa terra, vicino a questo fiume che ci ha insegnato che nulla è per sempre, che tutto se ne va e si trasforma, sia i momenti belli che quelli brutti.
Tutti siamo stati felici ed abbiamo sofferto in questa terra, vicino a questo fiume che ci ha insegnato che nulla è per sempre, che tutto se ne va e si trasforma, sia i momenti belli che quelli brutti.
La
storia del vecchio mulino è tutta qui.
(Ha partecipato e vinto al Concorso letterario "Tra terra e acqua" indetto da La Nuova Briantea con sede a Lecco)
Articoli on-line relativi al racconto
- Ed ecco i due racconti migliori del concorso “Tra terra e acqua”
- “Un fiume di ricordi” di Roberta Baldantoni raccoglie consensi al nostro concorso di narrativa